view_lista_news
MANEGGIARE CON CURA:
il patrimonio dissonante tra conservazione e narrazione critica

di Aurora Bonati, collaboratrice del Centro di Ateneo per i Musei
È possibile conciliare l’apprezzamento per il puro valore artistico di un’opera con i valori etici e civili nei quali ci riconosciamo e sui quali vogliamo fondare la nostra convivenza?
Alle eredità monumentali e artistiche pubbliche controverse, usualmente, si cerca di porre rimedio con operazioni più o meno selettive di occultamento, rimozione, ri-narrazione e/o riqualificazione: tutte mosse comprensibili e legittime che tuttavia, in certi casi, rischiano di rivelarsi a loro volta insidiose e problematiche, perché se ignoriamo il messaggio politico che quelle stesse opere veicolavano quando furono realizzate come possiamo pensare, a distanza di tempo, di leggerle e quindi di commentarle?
È stata questa la sfida all’origine del progetto “Maneggiare con cura: il patrimonio dissonante tra conservazione e narrazione critica”, nato dalla collaborazione tra il Liceo Classico “Tito Livio”, il Centro per la Storia dell’Università di Padova e il CAM. Un’occasione per ripercorrere un pezzo di storia dell’Ateneo patavino, che negli anni del Regime fascista – complice un finanziamento senza precedenti arrivato da Roma (quasi 40 milioni di lire dell’epoca) – assistette a una radicale riorganizzazione della sede centrale, oltre alla costruzione di nuovi poli didattici e di ricerca come il Liviano (nuova sede della facoltà di Lettere), l’Istituto di Fisica, l’Istituto di Chimica farmaceutica e tossicologica e – fuori città – l’Osservatorio astrofisico di Asiago. Un gigantesco cantiere non solo edilizio, ma anche artistico, di cui il “fascistissimo” rettore Carlo Anti fu al tempo stesso artefice e committente, e al cui programma iconografico – una vera e propria mitografia dell’Ateneo – lavorarono artisti del calibro di Massimo Campigli, Achille Funi, Pino Casarini, Ferruccio Ferrazzi, Bruno Saetti, Gino Severini e molti altri (tra cui, non da ultimo, lo stesso architetto incaricato della realizzazione del Liviano e di molti ambienti del “nuovo” Bo, ossia Gio Ponti).
Un patrimonio di indiscusso valore artistico, dunque, ma che tutto fu tranne che immune da sentimenti ed intenti celebrativi e di propaganda: della visione imperialistica, violenta e razzista del regime; del suo palese sessismo; di un prepotente culto della personalità. Che come si diceva all’inizio, però, non sempre è facile riconoscere.
Per affrontare e approfondire al meglio l’argomento con le classi sono stati organizzati due interventi. Il primo, ad aprile, è stato strutturato come una vera e propria lezione frontale in aula, comprensiva di due ore equamente suddivise tra inquadramento storico del fascismo e un’esposizione di alcuni esempi tratti dal “nostro” patrimonio dissonante. Nello specifico, ci si è concentrati sull’edificio del Liviano, con un’analisi dettagliata dell’affresco di Massimo Campigli e un focus sulla storia del Museo di Scienze Archeologiche e d’Arte progettato da Gio Ponti. Si è quindi parlato brevemente della figura di Daniele Calabi, architetto e progettista dell’Osservatorio astrofisico di Asiago, brutalmente estromesso dall’incarico nel 1938 a causa delle Leggi razziali .
Nel secondo incontro, invece, previsto per tutte le classi al Bo il 24 maggio, studentesse e studenti sono state/i invitate/i a partecipare in modo decisamente più attivo, fungendo da “co-guide” in una visita focalizzata sugli ambienti controversi del palazzo centrale: il Cortile Nuovo (negli anni del fascismo, non a caso, noto come Cortile Littorio), con l’imponente altorilievo dedicato alla “gioventù combattente” di Attilio Selva; la Sala delle Studentesse, con l’affresco ispirato ai «diversi tipi di femminilità studiosa» (ma di fatto un inno alle virtù domestiche e alla maternità) di Antonio Morato; e infine la Basilica, con il gigantesco affresco di Pino Casarini sulla “storia politica dell’Università a partire dal 1848”.
Ambienti di cui, assieme alle ragazze e ai ragazzi, sono stati analizzati anche tutti gli eventuali interventi di rimozione e riqualificazione: come ad esempio quello che si ha nella Basilica, in cui di fronte alla parte di affresco che celebrava uno degli episodi più vergognosi della storia patavina e universitaria (e non a caso scialbato nel dopoguerra: è quello che riguarda i cosiddetti “martiri di Cittadella”) si trova oggi il busto di uno dei massimi esponenti della Resistenza dell’Ateneo, Egidio Meneghetti. O all’operazione ancora più radicale effettuata nell’Atrio degli Eroi, in cui la grande statua della Minerva Vittoriosa di Paolo Boldrin è stata sostituita dalla lapide marmorea con l’elenco dei “Caduti per la causa della libertà” e la motivazione della medaglia d’oro al valor militare conferita all’Università per il ruolo assunto nella Resistenza.
Proprio in ricordo di uno di questi studenti caduti (Primo Visentin, ucciso il 29 aprile 1945) si trova, nello stesso ambiente, anche il primo monumento italiano dedicato a un partigiano, il Palinuro di Arturo Martini, il cui sguardo volto verso l’adiacente Scala del Sapere guarda idealmente alle stelle e “ad un avvenire più bello”; mentre “alla fede civile e all’azione di Concetto Marchesi, Egidio Meneghetti, Ezio Franceschini e di quanti nell’Università seppero unire diversi ideali e culture in concorde lotta di popolo per riconquistare all’Italia la libertà” è dedicato, nel 1995, l’anti-monumento Resistenza e liberazione di Jannis Kounellis.
Due opere di riscatto esattamente come le sette pietre d’inciampo poste nel 2015 in via VIII Febbraio davanti al portale dell’Università in ricordo degli studenti e dei docenti ebrei deportati e morti nei campi di sterminio. Le stesse pietre d’inciampo che simbolicamente, alla fine dell’incontro, abbiamo distribuito sotto forma di cartoncini alle ragazze e ai ragazzi perché vi annotassero, se lo desideravano, le loro considerazioni. Ci ha fatto davvero piacere leggerle e vederle esposte nel chiostro del liceo, a dimostrazione che un approccio critico, consapevole e partecipato al tema è possibile. La conservazione e narrazione di questo patrimonio, d’ora in poi, è anche nelle loro mani.
Iniziative come questa coinvolgono necessariamente molte persone. Colgo qui l’occasione per ringraziarne almeno una parte, a cominciare dall’organizzatrice, prof.ssa Raffaella Terribile; le sue colleghe del Liceo “Tito Livio”, prof.ssa Valeria Giancola e prof.ssa Linda Beltrame, con il prof. Roberto Falduti; le dott.sse Mimma De Gasperi e Giulia Simone del Centro per la Storia dell’Università di Padova; la Conservatrice del Patrimonio Storico e Artistico di Ateneo, dott.ssa Chiara Marin, e la dott.ssa Alessandra Angarano (CAM); e infine Michela Alcuniti e Laura Lissandron, che assieme a chi scrive e sotto la supervisione della dott.ssa Marin hanno contribuito alla preparazione delle lezioni frontali e dell’attività finale al Bo.
Ma il ringraziamento più grande va a tutte le ragazze e a tutti i ragazzi del Liceo Classico “Tito Livio” (classi 3A, 3B, 3C, 3D, 3G) che hanno partecipato alla visita: senza la loro adesione e il loro entusiasmo niente di tutto questo sarebbe stato possibile. La vostra salita lungo l’allegorica Scala del sapere, carissime e carissimi, è appena all’inizio: il più caloroso augurio che vi porti “ad un avvenire più bello”.