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RIPRODOTTA LA VERTEBRA DI GALILEO

Un grande progetto di conservazione e valorizzazione

 

La riproduzione 3d della vertebra di Galileo: un grande progetto di conservazione e valorizzazione, frutto della collaborazione tra il nostro Centro Musei, il Dipartimento dei Beni Culturali, diverse aree dell'Ateneo e la ditta che ha materialmente realizzato la copia.

 

LA STORIA

Galileo morì l’8 gennaio 1642 ad Arcetri e il corpo fu temporaneamente sepolto nella Basilica di Santa Croce di Firenze. Circa un secolo dopo, il 12 marzo 1737, il corpo di Galileo fu riesumato e sepolto nel Mausoleo a lui dedicato, nella stessa Basilica. Il granduca Gian Gastone de’ Medici nominò una commissione per traslare il corpo di Galileo composta dai medici Antonio Cocchi e Giovanni Targioni Tozzetti, dal prelato Giovanni Vincenzo Capponi, dall'umanista ed erudito Anton Francesco Gori e dal notaio Giovanni Cammillo di Pasquale di Piero Piombanti. La commissione, alla vista dello scheletro di Galileo, non riuscì a resistere dal prendere qualche «reliquia» dello scienziato. Capponi si appropriò del dito indice della mano destra e di un pollice, Gori invece del dito indice della mano sinistra, un dente fu prelevato probabilmente da Tozzetti e Antonio Cocchi decise di prendere la quinta vertebra lombare.

Da Cocchi la vertebra passò in eredità al figlio Raimondo, che nel 1773 la cedette al patrizio veneto Angelo Querini, il quale a sua volta la donò all’abate veneziano Agostino Vivorio. Grazie all’intercessione della contessa Isabella Thiene, da questi la vertebra arrivò al medico vicentino Domenico Thiene, che il 2 agosto 1823 donò la reliquia all’Università di Padova. L'allora Rettore Antonio Meneghelli decise di accettare e di finanziare la realizzazione d’un “reliquiario” con l’assistenza, nel progetto, del docente di Fisica dell’Ateneo Salvatore Dal Negro.


La vertebra porta con sé un cartiglio scritto da Antonio Cocchi, che recita: Vertebra V Lumborum e corpore Magni Galilaei detracta cum id effossum est anno quo tumulo reconditum (“Quinta vertebra lombare presa dal corpo del Grande Galilei nell’anno della sua riesumazione e definitiva sepoltura”).


Le misurazioni antropologiche della quinta vertebra lombare di Galileo mostrano come non siano presenti gravi processi patologici. Studi radiografici e TAC hanno infatti rilevato solo lievi irregolarità artrosiche delle marginali dei processi articolari, con una minima osteofitosi dei profili del vertebrale. Recenti studi storico medici hanno evidenziato come il famoso scienziato possa essere morto a causa di una artrite reattiva, innescata probabilmente da una infezione di Chlamydia pneumoniae, e poi complicata nel tempo con una uveite, che portò Galileo ad una cecità bilaterale. L’assenza di tracce patologiche sulla vertebra non esclude la forma di artrite reattiva di cui soffriva Galileo.

 

La stampa della copia della vertebra di Galileo Galilei

«Per la definizione tridimensionale delle caratteristiche morfologiche e morfometriche della vertebra di Galileo è stato effettuato, mediante scanner a luce strutturata – già in dotazione presso il Dipartimento dei Beni Culturali – un rilievo 3D ad altissima densità di punti e a risoluzione micrometrica. La vertebra, utilizzando un piatto rotante sincronizzato via software con lo scanner, è stata rilevata da diverse prospettive in modo da ottenere un rilievo completo e continuo al di là della complessità morfologica del reperto dovuta alla presenza di sottosquadri, zone d’ombra e particolari traslucidi (come ad esempio il sigillo). In totale – precisa il professor Giuseppe Salemi, con la dottoressa Emanuela Faresin autore dello studio e della riproduzione 3D – sono state effettuate 70 scansioni per un totale di circa 10 milioni di punti. Nella fase di elaborazione dei dati le operazioni che si sono susseguite definendo la pipeline di post processing sono state: filtraggio dei dati per la rimozione dei punti outliers; l’allineamento delle scansioni in un unico e comune sistema di riferimento; il passaggio da nuvola di punti a mesh ovvero un reticolo di poligoni interconnessi la cui area descrive la superficie dell’oggetto; verifica ed editing della bontà del dato; esportazione del modello ad altissima risoluzione per la successiva fase di stampa 3D. Il modello 3D della vertebra di Galileo risulta quindi essere veicolo di informazioni morfologiche e morfometriche fondamentali per la riproduzione tangibile della stessa. È scheletro e struttura sui quali sviluppare il prototipo».


Il modello tridimensionale da scansione laser è stato ottimizzato e le informazioni contenute al suo interno convertite in istruzioni per il percorso macchina di stampa 3D.


La tecnologia utilizzata per garantire un elevatissimo dettaglio è stata la stampa 3D a fotopolimero, dove una resina fotopolimerizzante reagisce con il laser e, solidificando, genera così la copia fisica con una precisione di 25 microns. Il pezzo stampato è stato reso ancora più solido attraverso un secondo procedimento di fotopolimerizzazione che unisce calore e lampade UV; una volta indurito, siamo passati alla fase successiva di resa al vero.
Per ridurre al minimo l'errore è stata stampata una seconda copia che è stata utilizzata per le prove di colore e di resa al vero. Questa fase è stata possibile grazie alla campagna fotografica eseguita durante il rilievo, sia per replicare il colore originale del frammento di osso, sia per ripetere il complicato andamento che compone la legatura della vertebra originale. Sono state usate vernici specifiche miscelando colori diversi, chiari e scuri, per risaltare le discromie proprie dell’originale.

I sigilli sono stati lavorati a mano in tutti i particolari e colorati in fase finale; partendo dal dato di scansione si sono stampate le basi, sempre con sistema a fotopolimero, su queste si è lavorato di bisturi e con l'aggiunta di resina guardando le foto ad alta risoluzione dei dettagli. In questo modo, aggiungendo piano piano i dettagli, il risultato è una copia perfetta dell'originale.


L’etichetta è stata replicata utilizzando carta ruvida da disegno di colore bianco, che è stata “scritta” con un vero pennino da inchiostro ricalcando una base a matita, successivamente è stata invecchiata con una fiamma viva per farla sembrare antica. Per raggiungere l'effetto voluto sono state necessari più di 20 tentativi.


Infine è stata riprodotta la complicata legatura con filo di cotone, che originariamente era di colore bianco e che è stato tinto con tempera per trovare la corretta cromia dell'originale, ed è stata inserita l’etichetta anticata.