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RESTAURATO IL PALINURO

Il capolavoro di Arturo Martini torna a splendere a Palazzo del Bo

 

A Palazzo del Bo torna a splendere il Palinuro, capolavoro estremo di Arturo Martini,  i cui valori civili sono fondamentali anche nel nostro presente.


L’OPERA

Il 1° maggio 1945 Arturo Martini viene incaricato dalle brigate partigiane "Martiri del Grappa" e "Battisti" di eseguire un'opera commemorativa di un compagno di lotta: il maestro elementare Primo Visentin, ucciso in un’imboscata il 29 aprile 1945, quattro giorni dopo la Liberazione.

Originario di Poggiana di Riese, nel trevigiano, Visentin era stato allievo dell'Università di Padova, presso cui nel 1940 si era laureato in Storia dell'Arte con una tesi dedicata alla fortuna critica di Giorgione. Relatore: il grande Giuseppe Fiocco. Proprio in omaggio a un pittore molto amato, una volta divenuto partigiano nel settembre 1943, Primo aveva scelto come nome di battaglia "Masaccio". Al valoroso Masaccio, poi medaglia d'oro al valor militare alla memoria, i compagni vollero dedicato il monumento: il primo celebrativo di un partigiano.

E qui entra in scena Elena Povoledo (“Marianna” per i partigiani), allora specializzanda della Scuola storico-filologica delle Venezie e poi nota studiosa di Storia del teatro. Fu lei che, su consiglio di Michelangelo Muraro, contattò Arturo Martini e lo convinse a firmare il contratto, che lo impegnò in quella che lo scultore stesso definì "l’ultima statua che la pietà e la preghiera del dolore mi hanno piegato ad accettare".

Senza vincoli di un soggetto predeterminato, Martini scelse di rifarsi al mito virgiliano di Palinuro, il nocchiere di Enea caduto in mare di notte, che trova ad attenderlo sulle spiagge d’’Italia una fine crudele. È il destino di Masaccio, ucciso da fuoco tedesco (o forse, amico?), che gli impedisce di vedere l’Italia liberata dal giogo nazi-fascista. Ed è anche il destino che un Arturo Martini, deluso dalle possibilità espressive del linguaggio scultoreo, sembra attribuire a se stesso.

Eppure, diversamente che nel bozzetto preparatorio in cui prevaleva il tono luttuoso della figura con il capo reclinato, il nostro Palinuro guarda verso l’alto. Come commentava sempre Martini, "ad un avvenire più bello".

Il monumento commemorativo del giovane maestro e, attraverso lui, di tutti i partigiani, diviene così emblema delle aspirazioni umane ad astra, al riscatto e a quella libertà di pensiero e d’azione, che da ottocento anni sono distintivi della nostra Università. 

 

IL RESTAURO

Sostenuto dall'Associazione Amici dell'Università di Padova, sotto la sorveglianza della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le Province di Belluno, Padova e Treviso, e seguito nella direzione dei lavori dall’Università di Padova, l’intervento della restauratrice Valentina Piovan è stato estremamente sottile e raffinato, per non compromettere il vissuto dell'opera.  

Rimossi i depositi coerenti e incoerenti, presenti in particolare sull'addome e presso le articolazioni degli arti, è stata restituita al marmo la sua naturale chiarezza e lucentezza, senza celare i numerosi, anche se poco incisivi graffi che percorrono la superficie della scultura.